Cronache senegalesi: II parte

Avevo già programmato di scrivere il prossimo post sulla Tabaski, nome con cui qui ci si riferisce alla festa del sacrificio (in arabo Eid al-Adha) che si festeggerà lunedì, ma ho poi sentito la necessità di dover condividere la mia esperienza con il mondo dell’onirico qui in Senegal.

Premessa: sapendo che non sarei stata in un grande centro urbano, prima di partire in valigia ho messo tre libri. Un romanzo e due letture imprescindibili per un’aspirante reporter: “Un indovino mi disse” di Tiziano Terzani ed “Ebano” di Ryszard Kapuscinski. Il primo parla di come nel 1993 Terzani, giornalista per Der Spiegel, abbia per quell’anno rinunciato a prendere aerei dopo che un indovino di Hong Kong gli disse che la sua vita sarebbe stata in pericolo se avesse viaggiato in aereo. Detto fatto, per il tempo di un anno (cinese) l’autore viaggia per la sua amatissima Asia soltanto in treno, in macchina o in nave. Una buona parte del libro in realtà critica la modernità, o almeno la sua “trasposizione” in Asia, che secondo il reporter non fa altro che ammalare la popolazione locale di voglia di capitalismo e denaro, mettendo un po’ da parte antiche tradizioni e modi di vivere (tra cui quello di viaggiare via terra o via mare).

Se la riflessione è per certi aspetti ampiamente condivisibile, in alcune parti la solfa diventa un po’ pedante - unica critica che posso fare al libro che per il resto è un capolavoro. Leggendo certe pagine appare che la modernità non abbia portato proprio nulla di positivo, né in Asia né nel resto del mondo. Inoltre, se volessimo essere davvero fedeli al cento percento a questa filosofia del “una volta era meglio”, si dovrebbe tornare a spostarsi non solo in treno, ma a cavallo, rinunciare ad ogni forma di tecnologia e magari anche vestirsi di pelli. Il che non vuol dire che il progresso non vada mai criticato, anzi, io stessa dispenso quotidianamente critiche su come stia andando a rotoli il mondo intero, ma d’altra parte credo che si debbano apprezzare anche gli aspetti positivi del progresso, alcuni dei quali magari non si riescono a cogliere nell’immediato.

I cambiamenti veloci sono sicuramente dannosi per tutte le società del mondo, ma il leitmotiv di come il passato sia sempre meglio del futuro è una litania che ci portiamo dietro dagli antichi greci e l’Asia stessa, nonostante le mitiche tradizioni millenarie, è un continente con continua ad essere proiettato con grande slancio verso il futuro. Dispiace? Sì, perché spariscono molte cose (lingue, tradizioni, modi di pensare, antichi rimedi…), ma è la storia del mondo e forse con il tempo emergerà anche qualcosa di positivo.

Ma restiamo in Africa. Riguardo i vagabondaggi di Terzani ho un aneddoto interessante da raccontare. Mentre eravamo ancora a Dakar, M. mi ha raccontato che una sua zia (o forse addirittura sua madre) viaggiando in Asia nel 1993 aveva incontrato Terzani in persona che stava viaggiando senza prendere aerei e lo scrittore aveva accennato alla donna la profezia dell’indovino. È un caso che io venendo in Senegal abbia incontrato M. e lei mi abbia raccontato di questo incontro della sua parente? Anche Terzani nel suo libro si chiede se esista davvero il caso, e alla fine ci si convince di come sia tutta un’invenzione occidentale. Quindi no, non penso sia un caso.

Il secondo libro, che non ho ancora terminato, è una raccolta di reportage del corrispondente polacco che dalla fine degli anni ’50 ha descritto la situazione di diversi Paesi africani in modo preciso e puntuale e, per quanto sia ancora scarsa la mia esperienza con il continente africano, molte osservazioni sono valide ancora oggi. Kapuscinski non omette i racconti macabri, narra le esperienze più atroci con la massima lucidità, comprese le torture inflitte all’ex dittatore liberiano Doe, le nottate in compagnia di enormi scarafaggi pelosi, la febbre della malaria, le visioni nel deserto e i riti funerari degli amba in Uganda, così come le diverse tradizioni delle variegate tribù che hanno popolato questo continente per millenni. I racconti di carneficine unite alla dimensione magico-tribale mi hanno influenzata a tal punto che anche io negli ultimi tempi ho cominciato a fare sogni inquietanti. Fortunatamente non mi sveglio con il senso di angoscia che a volte mi capita nei periodi di maggiore stress, anzi, la mattina riesco ad alzarmi presto e pure riposata, lucida, pronta ad affrontare la calura di Tambacounda, ma con dei vividi e macabri ricordi che strisciando nella notte si sono insinuati nel mio inconscio per restarmi poi in qualche modo appiccicati addosso durante il giorno. In particolare ho sognato di aver partecipato con rassegnazione ai funerali di membri della mia famiglia. Solo per un attimo ho provato un grandissimo senso di sconforto e poi di colpa: e se dovesse succedere qualcosa di terribile a casa mentre io sono egoisticamente in Africa? Ho scacciato il pensiero convinta che le immagini positive siano il migliore antidoto all’inquietudine verso il futuro (insieme alla meditazione) e mi sono confidata con Clara e T., la quale a sua volta ci ha raccontato che, diversamente dall’Occidente, l’aspetto del magico permea gran parte della vita in Africa e non sia una dimensione lontana e astratta da bistrattare come non valida in favore dell’assolutismo della scienza. Avendo vissuto quasi tre anni in Etiopia e nove in Costa D’Avorio, una sera dopo cena siamo rimaste ammaliate dalle sue narrazioni sugli stregoni (trovando corrispondenza con alcuni racconti di Kapuscinski), sui funerali e sulle maschere, che abbiamo intravisto anche qui in Senegal dove vengono chiamate kankouran.

Essendomi svegliata molto presto questa mattina, dopo pranzo ho deciso di imitare i gemellini con cui viviamo (che hanno quasi due anni) e ho dormito per un’oretta. Al risveglio il ricordo del sogno che avevo fatto era nitido: mi trovavo in una casa a me sconosciuta con la mia insegnante di yoga M. e un’altra persona (una qualche amica di cui non ricordo l’identità). Esprimendo la mia preoccupazione riguardo ai miei incubi così ricorrenti, M. mi dice che per scacciare gli spiriti malvagi dalla mia stanza devo mettere una palla sulla porta. “Una palla?” chiedo io stupita, immaginandomi un pallone da pallavolo appoggiato all’uscio della mia camera. A questo punto interviene l’amica dall’identità sconosciuta, che, correggendo M. afferma: “Non una palla, tu intendi degli angoli da porta!” Non ho potuto chiedere ulteriori spiegazioni alle mie interlocutrici e indagare a che strani amuleti si riferissero per proteggermi dagli spiriti cattivi perché mi sono svegliata.

Dopo aver parlato con Clara e T. riguardo ai miei sogni abbiamo cercato di dare una spiegazione “razionale” e “logica”, cioè che avesse senso secondo il nostro modo di pensare: sarà sicuramente il Lariam (il medicinale per la malaria che è facile provochi allucinazioni), il preciclo, l’aver mangiato pesante (qualche giorno fa a cena abbiamo mangiato il facocero e abbiamo riso pensando a una famosa pubblicità italiana), il caldo, il leggere subito prima di andare a dormire… E se invece fosse il fatto di vivere nel pieno di un contesto africano ancora molto tradizionale (nonostante la tanto criticata modernità stia portando il marciapiede nella strada di fronte casa)? 

Anche Terzani ad un certo punto ammette che siamo naturalmente portati a far combaciare cose che possono di primo acchito apparire assurde con la realtà che ci circonda. Dovrei forse lasciar perdere tutti i miei sogni, considerarli creazioni del tutto casuali della mia mente e continuare a preoccuparmi di come sopravvivere alla canicola di Tamba? Chi mi conosce sa che la risposta è sicuramente no e che questa notte con ogni probabilità ruberò una palla ai bambini e la metterò fuori dalla camera perché mi protegga dagli spiriti malvagi.

Stasera per cena era previsto il facocero, io per sicurezza ho ordinato un vitello. Chissà che sogni verranno a trovarmi nelle prossime settimane e chissà quali magie porterà la Tabaski.

Nel video una maschera durante una serata per i giovani di Tambacounda

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