Riflessioni di un Thanksgiving notturno


Due mesi sono passati dal mio ritorno dal Senegal. Banale dirlo, ma come vola il tempo.

Da inizio ottobre sono cominciate una serie attività che mi hanno travolta: la tesi, il lavoro di allenatrice, la collaborazione con la redazione, gli allenamenti, gli incontri di meditazione… E adesso arriva il Natale, si cominciano a sentire i primi jingle, rispuntano le lucine, non fa freddo, ma piove sempre. 

Ogni anno mi ripropongo di cercare di essere felice per l’arrivo del Natale, ma è uno sforzo inutile. Una delle mie migliori amiche dice che sono un piccolo Grinch, mia madre mi ha regalato un libro intitolato “Fuga dal Natale”, in cui la protagonista è una ventenne che per sfuggire alle festività parte per il Sudamerica facendo impazzire i genitori – suona familiare, vero?

In questa tipica malinconia autunnale (vedi il post dell’annoscorso), la cosa che ultimamente mi sta rendendo più felice di tutte è andare al parco ad allenare i bambini e i ragazzi. Non pensavo che allenare i piccolini di 5-8 anni mi sarebbe piaciuto così tanto. Non hanno filtri: se cadono piangono, se sono felici urlano, se hanno paura si disperano, se litigano alzano un po’ le mani, se provano affetto ti abbracciano.

A che età esattamente si smette di comportarsi così? Non c’è un momento preciso in effetti, semplicemente con il tempo riempiano la nostra valigia di esperienze di vita. E così creiamo una serie di maschere e forse, a volte, anche una corazza bella spessa: non voglio mostrarti di avere paura, non piango; mento, perché voglio che gli altri abbiano una considerazione positiva di me; non ti dico tutto quello che penso; non mi innamoro perché ho paura mi feriscano di nuovo.

Il fatto che i bambini non abbiano filtri ti permette di capire anche le dinamiche che vanno oltre la loro personalità: chi viene coccolato un po’ troppo dalla famiglia, chi invece sembra essere un po’ trascurato. Mia madre dice che fare il genitore è il mestiere più difficile del mondo perché nessuno te lo insegna, il Buddha predicava la sospensione di giudizio. Ecco, non si può e non si deve mai dare un giudizio (negativo): tu sei lì per lavorare con quello che hai e devi cercare di fare il tuo meglio come educatrice. E devi imparare a lasciar perdere le cose che non puoi controllare.

Con i ragazzi delle superiori è tutta un’altra cosa. Il loro bagaglio comincia già a pesare qualche chilo in più, qualcuno fa perfino fatica a portarsi sulle spalle la valigia. È bello avere un rapporto più paritario, sentire che ti raccontano delle loro interrogazioni, origliare le ragazze che commentano come siano scemi i maschi (tranquille, fra 10 anni vi troverete ad affrontare gli stessi problemi, il loro sviluppo cerebrale si arresta intorno ai 12 anni), vederli già concentrati sulla maturità, impauriti ed emozionati per il futuro, spesso ignari delle grandi fortune che hanno rispetto a tanti altri loro coetanei nel mondo.

Ieri si è festeggiato il Giorno del Ringraziamento. Ci ho pensato un po’ e credo di essere grata per questi mesi impegnati sì, ma allo stesso tempo un po’ di stati perché non sto lavorando a tempo pieno e mi sento bloccata da una tesi infinita (e che al momento mi appare solo come un inutile esercizio retorico).

Poi mi chiedo se i ragazzi avranno ancora qualche ricordo di noi allenatori fra dieci anni, mi domando se siamo stati in grado di trasmettergli qualcosa di bello. Ma poi riflettendoci sono loro che ogni giorno ci ricordano qualcosa, ed è di questo che sono grata.

Ripenso al mio campo di atletica, a tutte le amicizie che sono nate lì. Come ci siamo sparpagliati in giro per il mondo, che strade incredibili ha preso ognuno di noi. Penso ai miei colleghi di oggi, ma che sono più amici che colleghi in realtà, perché mi fanno venire male agli addominali dal ridere o mal di pancia perché in ogni occasione mangiamo sempre troppo.

Quando l’anno scorso sono andata a fare yoga a Capodanno, ho conosciuto una persona speciale, che quando  mi ha chiesto cosa volessi fare da grande mi ha detto che non c’è molto da girarci intorno; devi chiederti solo una cosa: cosa ti piace? Che non si vive per accontentare gli altri non è un concetto così immediato, proprio perché in quella valigia di cui parlavo prima magari siamo carichi delle aspettative delle persone che ci circondano, magari di quelle a cui vogliamo più bene, come la famiglia.

Per questo forse non mi piacciono tanto le feste natalizie. Perché tornare a casa vuol dire fare i conti con tutta una serie di questioni che tu, nella tua solitudine milanese, cercando di crearti la tua strada nel mondo, ti vorresti anche lasciare alle spalle. Prima della famiglia ad essere andata all’Università (se escludiamo un cugino più grande diventato sacerdote e i cuginetti che devono ancora crescere), quella un po’ strana sempre in giro per il mondo, quella che non lavora ancora a tempo pieno perché appunto ha studiato, mentre le tue cugine non solo convivono ma hanno anche già dei pargoli.

Ecco, tornare a casa è confrontarsi con tante cose, la fine dell’anno serve a fare delle valutazioni. E se a volte il solo guardarsi dentro è faticoso, il confrontarsi con chi ha delle aspettative nei tuoi confronti è ancora peggio. Perché non vuoi deludere le persone alle quali vuoi bene, ma allo stesso tempo una parte di te vorrebbe urlare: “Sono i miei sogni che voglio realizzare, non quelli che voi avete per me”.

Quindi è ok volersi trasferire in un’altra città, voler andare dallo psicologo anche se non si è strettamente pazzi, è ok aspirare a fare la reporter di giorno e l’allenatrice di sera, è ok essersi innamorata dell’ennesima persona a cui non piaci abbastanza o essersi innamorata di una donna, è ok volersi prendere una pausa nella propria vita, è ok cambiare idea, è ok essere triste per due giorni di fila e poi felice per cinque senza saperne il motivo, è ok non voler avere figli perché al momento vedi il mondo come un posto ancora troppo malandato.

È ok ogni cosa che nel tuo percorso ti stia aiutando a liberarti dai fardelli della tua valigia. È ok non aver ancora capito quali sono lo esperienze più pesanti che ti hanno fatto male. È ok chiedere aiuto per scacciare i mostri che ti divorano da dentro. È ok anche sbagliare, anche quello serve.

Due mesi dal mio ritorno dal Senegal e pagine e pagine di Vita vissuta, sempre. Quanta gratitudine.

Commenti

  1. "Per questo forse non mi piacciono tanto le feste natalizie. Perché tornare a casa vuol dire fare i conti con tutta una serie di questioni che tu, nella tua solitudine milanese, cercando di crearti la tua strada nel mondo, ti vorresti anche lasciare alle spalle."

    Riflessione assolutamente condivisibile. Credo che per alcuni, appassionati del mondo e curiosi di tutto ciò che li circonda, valga, più che mai, l'antico "Nemo propheta in patria". Da ciò deriva che queste persone, spesso, riescono ad esprimere tutto il loro talento in luoghi e ambienti lontani e sconosciuti, talvolta cupi e inimichevoli, ma che si rivelano, in fondo, il vero giardino di casa.

    Complimenti!

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